“Prima casa”: nessuna estensione del termine per riacquisto con credito d’imposta dopo l’alienazione

 

L’Agenzia delle entrate affronta l’inapplicabilità della modifica normativa che estende a due anni il termine di rivendita dell’abitazione agevolata (ex comma 4-bis, Nota II-bis, TUR) al riacquisto di una nuova “prima casa” ai fini del credito d’imposta (Agenzia delle entrate, risposta 26 novembre 2025, n. 297).

Nel caso di specie, l’Istante, dopo aver acquistato nel 2014 e venduto nel novembre 2024 una “prima casa”, intende acquistarne una nuova usufruendo del credito d’imposta (articolo 7, L. n. 448/1998). Il dubbio è se le modifiche introdotte dalla L. n. 207/2024, che hanno esteso i termini per la rivendita, si applichino anche al riacquisto agevolato. L’Istante, pertanto, chiede se il termine entro cui effettuare il riacquisto agevolato, nell’ipotesi in cui la vendita preceda il nuovo acquisto, sia esteso da uno a due anni ai fini del credito d’imposta

 

L’agevolazione “prima casa” è disciplinata dalla Nota II-bis posta in calce all’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al TUR. Tale articolo prevede l’applicazione dell’imposta di registro con aliquota ridotta al 2% per atti traslativi di proprietà di case di abitazione (diverse da A/1, A/8, A/9) se si verificano precise condizioni:

  • l’immobile è ubicato nel comune di residenza o dove l’acquirente la stabilisca entro diciotto mesi;
  • nell’atto di acquisto si dichiara di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge di diritti su altra abitazione nel territorio del comune di acquisto;
  • nell’atto di acquisto si dichiara di non essere titolare, neppure per quote, su tutto il territorio nazionale, di diritti su altra abitazione acquistata con le agevolazioni in esame.

Il comma 4-bis della Nota II-bis, modificato dall’articolo 1, comma 116, Legge di bilancio 2025, ha innovato la disciplina. Esso consente l’applicazione dell’aliquota del 2% anche se il contribuente non soddisfa il requisito c) (possesso di altra casa agevolata), a condizione che l’immobile pre-posseduto sia alienato entro due anni dalla data del nuovo atto di acquisto agevolato. Questa modifica ha elevato il termine per rivendere l’abitazione pre-posseduta da uno a due anni, al fine di incentivare il mercato immobiliare e agevolare il cambio della prima casa di abitazione. Tale nuovo termine è applicabile anche agli acquisti per i quali il termine di un anno era ancora pendente al 31 dicembre 2024.

Il diritto al credito d’imposta è regolato dall’articolo 7, comma 1, della Legge n. 448/1998. Tale norma stabilisce che il credito è attribuito ai contribuenti che provvedono ad acquisire, entro un anno dall’alienazione dell’immobile per il quale si è fruito dell’aliquota agevolata, un’altra casa di abitazione non di lusso, in presenza delle condizioni “prima casa”. Il credito è fino a concorrenza dell’imposta corrisposta in relazione al precedente acquisto agevolato, e non può essere superiore all’imposta dovuta per il nuovo acquisto agevolato. La norma fissa dunque in un anno il termine per il riacquisto.

 

A seguito dell’introduzione del comma 4-bis (ad opera della Legge n. 208/2015), la circolare 12/E/2016 dell’Agenzia ha già chiarito che il credito d’imposta spetta anche se il contribuente procede all’acquisto della nuova abitazione prima della vendita dell’immobile pre-posseduto. La risposta n. 197/ 2025 ha poi precisato che il maggior termine di due anni per la rivendita dell’abitazione agevolata pre-posseduta non pregiudica il diritto al credito d’imposta per il nuovo acquisto, purché l’immobile venga alienato entro due anni dal nuovo acquisto.

 

L’Agenzia, dunque, chiarisce che la modifica normativa introdotta dalla Legge di bilancio 2025 ha innovato il termine per la rivendita postuma di cui al comma 4-bis della Nota II-bis. Tale modifica non riguarda la formulazione dell’articolo 7 della Legge n. 448/1998. L’articolo 7 continua a prevedere l’attribuzione di un credito d’imposta per l’acquisizione di un’altra casa di abitazione entro il termine di un anno dall’alienazione della precedente “prima casa”. Di conseguenza, non è possibile estendere il termine biennale per la rivendita postuma anche al riacquisto della “prima casa” ex articolo 7 della Legge n. 448/1998.

 

La natura agevolativa della disciplina “prima casa” non consente un’applicazione analogica, né una interpretazione estensiva della stessa. Le norme fiscali di agevolazione sono, infatti, di “stretta interpretazione,” applicabili solo a casi riconducibili al loro significato letterale. Per tali considerazioni, non è ritenuta possibile una estensione simmetrica del termine (di due anni) previsto per la vendita postuma (ex comma 4-bis) alle ipotesi di riacquisto previste dall’articolo 7, comma 1, della Legge n. 448/1998 ai fini del credito d’imposta.

 

Reddito da liquidazione di società estere come reddito di capitale assoggettabile all’imposta sostitutiva

 

L’Agenzia delle entrate ha pubblicato una risposta a un’istanza di interpello incentrata sul regime fiscale sostitutivo applicabile alle persone fisiche titolari di redditi da pensione di fonte estera per i redditi prodotti all’estero, ai sensi dell’articolo 24-ter del TUIR (Agenzia delle entrate, risposta 21 novembre 2025, n. 292).

L’articolo 24-ter, comma 1, del TUIR stabilisce che le persone fisiche titolari di redditi da pensione (articolo 49, comma 2, lettera a), erogati da soggetti esteri, che trasferiscono la residenza in Italia in Comuni specifici (appartenenti al territorio delle regioni Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia, o comuni sismici designati), aventi comunque una popolazione non superiore a 20.000 abitanti, possono optare per l’assoggettamento dei redditi di qualunque categoria, prodotti all’estero, a un’imposta sostitutiva.

 

L’imposta sostitutiva è calcolata in via forfettaria, con aliquota del 7% per ciascuno dei periodi di imposta di validità dell’opzione.
I redditi prodotti all’estero devono essere individuati secondo i criteri di cui all’articolo 165, comma 2, del TUIR. Tale disposizione implica una lettura “a specchio” dei criteri dell’articolo 23 del TUIR, in base alla quale un reddito si considera prodotto all’estero solo nelle ipotesi esattamente speculari a quelle previste per individuare i redditi prodotti nel territorio dello Stato.

 

In merito ai redditi oggetto del suddetto regime agevolativo, la circolare n. 21/E/2020, ha già avuto modo di chiarire che in base all’articolo 49, comma  2, lett. a), del TUIR, costituiscono redditi di lavoro dipendente le pensioni di ogni genere e gli assegni ad essi equiparati. Dunque, per espressa previsione normativa, i redditi da ”pensione” sono equiparati a quelli di ”lavoro dipendente”. Si tratta di soggetti destinatari di trattamenti pensionistici di ogni genere e di assegni ad essi equiparati erogati esclusivamente da soggetti esteri. Sono esclusi dal regime, invece, i soggetti non residenti che percepiscono redditi erogati da un istituto di
previdenza residente in Italia. Rientrano in tale nozione di redditi da pensione anche tutti quegli emolumenti dovuti dopo la cessazione di un’attività lavorativa, che trovano genericamente la loro causale anche in un rapporto di lavoro diverso da quello di lavoro dipendente.

L’espressione normativa “le pensioni di ogni genere” porta a considerare ricomprese nell’ambito di operatività del citato comma 2 dell’articolo 49 del TUIR anche tutte quelle indennità una tantum erogate in ragione del versamento di contributi e la cui erogazione può prescindere dalla cessazione di un rapporto di lavoro.

Inoltre, con riferimento ai redditi di capitale (come le distribuzioni di utili), in base alla lettura a specchio dell’articolo 23, comma 1, lett. b), del TUIR, si considerano prodotti all’estero i redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti. L’imposta sostitutiva prevista dall’articolo 24-ter del TUIR esaurisce l’obbligazione tributaria dovuta in Italia sui redditi prodotti all’estero.

Al riguardo, l’Agenzia richiama l’articolo 47, comma 7, del TUIR, che stabilisce che le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di liquidazione (o recesso, esclusione, riscatto e riduzione del capitale esuberante) costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate. I redditi così determinati derivanti dalla liquidazione di una società sono classificati come redditi di capitale.

 

Nel caso di specie, l’Istante, fiscalmente residente in Francia, titolare di redditi di pensione di fonte estera dal 2025, intende trasferire la propria residenza in Italia nel 2026. Tale trasferimento è previsto in un Comune del Mezzogiorno con popolazione non superiore a 20.000 abitanti, dove l’Istante intende anche svolgere attività di lavoro autonomo e/o di impresa. Egli ha in programma la messa in liquidazione volontaria di società estere da lui partecipate/controllate, le quali non detengono beni immobiliari o partecipazioni in società italiane, chiedendo se i redditi derivanti dall’eventuale avanzo di liquidazione distribuito dalle suddette società rientrino nel regime dell’imposta sostitutiva previsto dall’articolo 24-ter, comma 1, del TUIR.

In base alla lettura “a specchio” del citato articolo 23, comma 1, lett. b), del TUIR, l’Agenzia conferma dunque che il reddito risultante dalla liquidazione, classificato come reddito di capitale, è considerato prodotto all’estero e che nel rispetto di tutte le condizioni previste dalla normativa di riferimento, anche su tali redditi l’Istante possa fruire del regime opzionale di cui all’articolo 24-ter del TUIR.

 

Consolidato fiscale e remissione in bonis: sanatoria dell’omessa comunicazione dell’opzione

 

Con una nuova risposta ad interpello l’Agenzia delle entrate fornisce chiarimenti sull’applicazione dell’istituto della remissione in bonis nell’ambito del consolidato fiscale (Agenzia delle entrate, risposta 24 novembre 2025, n. 294).

Due società istanti, controllante e controllata, chiedono di poter sanare l’omessa indicazione della controllata tra i soggetti consolidati nel quadro OP del Modello SC, avvalendosi dell’istituto della “remissione in bonis”. Al riguardo, le società sostengono che i comportamenti successivi, come il calcolo degli acconti IRES e l’indicazione di un provento da consolidamento nel bilancio della controllata, dimostrino la loro intenzione originaria di includere la società nel regime, ritenendoli quindi comportamenti concludenti.

 

L’Agenzia conferma che l’omessa comunicazione dell’opzione per il consolidato, in quanto adempimento formale, può essere sanata mediante l’istituto della ”remissione in bonis”, purché sussistano i requisiti sostanziali (articoli 117 e seguenti del TUIR) alla data di scadenza originaria e la violazione non sia stata constatata. Inoltre, la consolidante deve esercitare l’opzione entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile e versare la sanzione pari a 250 euro.

 

La remissione in bonis intende salvaguardare il contribuente in buona fede. La buona fede presuppone che il contribuente abbia tenuto un comportamento coerente con il regime opzionale prescelto (c.d. comportamento concludente).

Nel contesto del consolidato fiscale, il comportamento concludente implica l’adozione di comportamenti coerenti in ordine al calcolo della base imponibile consolidata ed alla liquidazione dell’IRES dovuta.

 

Richiamando la disciplina sugli obblighi di versamento a saldo e in acconto, l’Agenzia ricorda che questi competono esclusivamente alla controllante (Articolo 118, comma 3, del TUIR). In caso di nuovi ingressi in un consolidato già vigente, si applica un criterio ”misto”, parametrizzando l’acconto all’imposta ”storica” del consolidato ”ampliato”, determinata sulla base della somma algebrica dei redditi dichiarati nel periodo precedente dalle società di nuovo ingresso con il reddito complessivo globale del consolidato preesistente.

 

Nel caso di specie, dunque, l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2024 rappresenta il primo periodo di imposta per la società controllata. Di conseguenza, la sua inclusione nel consolidato, sin dal periodo d’imposta 2024, non ha alcun effetto sulla misura dell’acconto complessivamente dovuto per il 2024 dalla fiscal unit, poiché il suo reddito del periodo precedente è pari a zero.
Per tali ragioni, l’Agenzia ritiene che il versamento da parte della società controllante di un acconto calcolato in base al solo reddito complessivo globale del consolidato relativo al 2023 possa considerarsi coerente con la volontà di includere la controllata nel perimetro della tassazione di gruppo sin dall’anno 2024.
Inoltre, l’indicazione nel bilancio della controllata, al 31 dicembre 2024, di un provento da consolidamento (derivante dal trasferimento delle perdite fiscali e degli interessi passivi) rappresenta un comportamento coerente con l’intento di estendere il regime di consolidato fiscale alla controllata dal 2024.
Tali condotte possono, dunque, considerarsi comportamento concludente ai fini dell’accesso all’istituto della remissione in bonis.

 

Staff House: contributi per gli alloggi dei lavoratori del turismo

 

Con decreto 13 novembre 2025 n. 261768, parzialmente rettificato dal decreto n. 261768, si definiscono i termini, le modalità e le procedure operative per l’accesso ai contributi destinati al sostegno dei costi di locazione degli alloggi – Staff House – per i lavoratori del comparto turistico-ricettivo, previsti dall’articolo 14 del decreto-legge 30 giugno 2025, n. 95.

Il provvedimento in argomento definisce i termini e le modalità di presentazione delle domande di agevolazione e la documentazione a corredo delle stesse, nonché gli ulteriori elementi atti a definire la corretta attuazione dell’intervento agevolativo per il sostegno agli operatori del settore turistico-ricettivo, inclusi gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di cui all’articolo 5 della legge 25 agosto 1991, n. 287, che dimostrino di sostenere spese per l’alloggio dei lavoratori impiegati. Ai predetti fini, il provvedimento fornisce, tra l’altro, anche ulteriori specificazioni occorrenti in merito alle condizioni di ammissibilità delle spese nonché alla fase di concessione delle agevolazioni. 

Possono dunque presentare la domanda di accesso alle agevolazioni i soggetti che dimostrino di sostenere spese per l’alloggio ai lavoratori impiegati presso la/e propria/e unità locale/i costituita/e da strutture turistico-ricettive o esercizi di somministrazione di alimenti e bevande. A tal fine sono ammesse le imprese proponenti di qualsiasi dimensione che, alla data di presentazione della domanda, abbiano attivato nell’ambito di ciascuna delle proprie unità locali oggetto della domanda di agevolazione almeno uno dei codici ATECO elencati all’articolo 3, comma 1 del decreto 18 settembre 2025, in qualità di attività prevalente/primaria o secondaria, nonché risultino in possesso dei requisiti di cui all’articolo 3, comma 3, del medesimo decreto. 

Le imprese proponenti che, alla data di presentazione della domanda, non risultino residenti nel territorio italiano possono dimostrare la piena disponibilità in Italia di almeno una unità locale nell’ambito della richiesta di erogazione del contributo. Tali imprese devono, comunque, essere costituite secondo le norme di diritto civile e commerciale vigenti nello Stato di residenza e iscritte nel relativo Registro delle imprese. 

Le risorse disponibili ammontano a 66 milioni di euro, pari a 22 milioni per ciascuno degli anni 2025, 2026 e 2027.
La presentazione delle domande avviene tramite la piattaforma telematica del Soggetto gestore Invitalia:
• Apertura: dalle ore 12.00 del 21 novembre 2025
• Chiusura: alle ore 17.00 del 19 dicembre 2025
• Pre-caricamento: disponibile dalle ore 12.00 del 17 novembre 2025

Per l’elenco degli oneri informativi previsti per le imprese è possibile, consultare l’Allegato 1 del decreto.

 

Obblighi dichiarativi e di versamento in materia di imposizione integrativa

 

Sono state emanate le disposizioni attuative degli obblighi dichiarativi e di versamento della Global minimum tax, previsti nell’articolo 53 del Decreto Legislativo n. 209/2023. Il Decreto 7 novembre 2025 chiarisce gli elementi e le modalità di presentazione del modello dichiarativo e del versamento della relativa imposta dovuta e la disciplina sanzionatoria applicabile in caso di inadempimento.

A decorrere dall’esercizio che ha inizio il 31 dicembre 2023 o in data successiva, i soggetti di seguito indicati assolvono l’adempimento dichiarativo previsto dal citato articolo 53, in relazione agli esercizi in cui il gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza soddisfa i requisiti previsti. Sono tenute a presentare la Dichiarazione Fiscale (art. 2, co. 2, DM 7 novembre 2025):
a) la controllante capogruppo di cui all’articolo 13 del Decreto Legislativo, la partecipante intermedia di cui all’articolo 14 del Decreto Legislativo e la partecipante parzialmente posseduta di cui all’articolo 15 del Decreto Legislativo n. 209/2023, localizzate nel territorio dello Stato italiano, responsabili dell’imposta minima integrativa;
b) l’impresa, diversa dall’entità di investimento, localizzata nel territorio dello Stato italiano individuata quale responsabile dell’imposta minima suppletiva ex articolo 19, comma 2, o dell’articolo 20, comma 3, del Decreto Legislativo n. 209/2023;
c) l’impresa e l’entità a controllo congiunto, localizzate nel territorio dello Stato italiano, nonché l’entità apolide costituita in base alle leggi dello Stato italiano individuate quali responsabili dell’imposta minima nazionale ai sensi dell’articolo 18, comma 7, secondo periodo, del Decreto Legislativo n. 209/2023 e dell’articolo 10 del Decreto sull’Imposta Minima Nazionale.

La Dichiarazione Fiscale, costituita da una sezione generale e da appositi prospetti, contiene le informazioni e i dati necessari per determinare l’imposizione integrativa dovuta in Italia dal gruppo multinazionale o nazionale. Nella sezione generale è identificato il soggetto che presenta la Dichiarazione Fiscale e sono fornite le informazioni generali sul gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza e su eventuali Regimi Semplificati e Regimi di Esclusione fruiti.

L’imposizione integrativa dovuta in Italia dal gruppo multinazionale o nazionale è determinata sulla base della normativa italiana. Gli importi contenuti nella Dichiarazione Fiscale sono espressi in euro. Nel caso in cui, secondo le Regole OCSE, della Direttiva e del Decreto Legislativo, l’imposizione integrativa dovuta dal gruppo è calcolata in una valuta diversa dall’euro, la Dichiarazione Fiscale è compilata convertendo i dati in euro sulla base del tasso di cambio dell’ultimo giorno dell’Esercizio di Riferimento.

I soggetti sono tenuti a conservare la documentazione contabile ed extra contabile utilizzata per la compilazione della Dichiarazione Fiscale. Tale documentazione deve essere messa a disposizione, su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, e conservata fino al termine di cui all’articolo 43 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 1973, n. 600.

La Dichiarazione Fiscale è trasmessa in via telematica all’Agenzia delle entrate entro il quindicesimo mese successivo all’ultimo giorno dell’Esercizio di Riferimento.

In deroga a quanto sopra, la Dichiarazione Fiscale è trasmessa in via telematica all’Agenzia delle entrate entro il diciottesimo mese successivo all’ultimo giorno dell’Esercizio Transitorio.

Il primo termine di scadenza dell’obbligo di presentazione della Dichiarazione Fiscale, indipendentemente dall’inizio e dalla durata dell’Esercizio di Riferimento, non può essere anteriore al 30 giugno 2026.

Il soggetto che ha già presentato, per l’Esercizio di Riferimento, la Dichiarazione Fiscale all’Agenzia delle entrate può modificarla attraverso la trasmissione di una nuova dichiarazione, che sostituisce la precedente.

Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottarsi entro novanta giorni dalla pubblicazione del decreto in argomento sulla Gazzetta Ufficiale, è approvato il modello di Dichiarazione Fiscale con le relative istruzioni e sono definite le modalità di trasmissione.

L’imposta minima integrativa, l’imposta minima suppletiva e l’imposta minima nazionale dovute in Italia sono versate in euro dai soggetti indicati, rispettivamente, alla lettera a), alla lettera b) e alla lettera c) dell’articolo 2 comma 2. Il versamento è eseguito senza possibilità di compensazione.

Per la violazione degli obblighi dichiarativi e di versamento relativi ai primi tre esercizi di applicazione, non si fa luogo ad irrogazione delle sanzioni ad eccezione che per i casi di dolo o colpa grave. Le imprese ed entità del gruppo per conto delle quali agisce il soggetto tenuto agli obblighi dichiarativi e di versamento sono responsabili solidalmente e congiuntamente con quest’ultimo in relazione alle somme che risultano dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni a seguito delle attività di liquidazione e controllo.